lunedì, febbraio 20, 2006

Modulation One, Interview # 2 - Domotic


Domotic atto secondo.

Rimasto folgorato, da Stoccolma e ritorno, dal genio (si potrà dire?) del compositore francese, lo staff di Modulation One ne fiuta le tracce su Myspace . Dopo un fugace scambio di mail così simpatiche che anche Mandi Mandi ne sverrebbe, lo staff di cui sopra prende coraggio, e con accento da banlieutard chiede un intervista. Che viene accettata. Da questo punto parte il film. Bello lungo. Immaginate cofanetto speciale di "Ben Hur più La Bibbia più I X Comandamenti" con annessi speciali in ceco a proposito di certe sfumature della lingua aramaica nella Passione Di Cristo di Gibson. Alla fine metteteci che l'amico sadico proponga un The Kingdom a tradimento che la maggioranza (tranne voi) applaudirà con preciso sadismo.

Questo è stato, quantificato in giri di clessidra, il tempo necessario per avere le risposte di questa intervistina piccola piccola rivolta ad un Domotic allegro e molto disponibile a parlare del suo ultimo lavoro Ask For Tiger (già recensito su queste pagine) e delle realtà a lui più vicine, scoprendo, tra l'altro, che Stephane si ascolta da un pò anche un gruppo magnifico come gli Arm Of Roger!

1- Ciao! Puoi presentarti per quelli che non ti conoscono bene?

Salve! Mi chiamo Stephane Laporte, ho 27 anni, abito a Parigi e sono un musicista. Faccio musica pop con un computer e un pò di strumenti. Ho fatto uscire il mio primo disco nel 2001 (un 12' con 4 pezzi), un Ep "Smiles Again" nel 2003 e il mio ultimo disco "Ask For Tiger" nel 2005, tutto sulla label parigina Active Suspension.

2- Parlami del tuo ultimo lavoro, Ask For Tiger (la genesi, il lavoro, la registrazione, la tecnica di registrazione adottata, quanto tempo c'è voluto...)

Per fare quest'album mi è servito moltissimo tempo: ho cominciato a lavorare sui primi stralci nel 2003! Immagino che ci sia voluto così tanto tempo perché tutto il lavoro di creazione del disco si è sviluppato di pari passo; scrittura, composizione, registrazione, strumentazione, produzione... Tutto questo è per me parte dello stesso processo globale di creazione, quindi, di colpo, ci sono molti parametri da dover gestire simultaneamente, molti tentativi a vuoto, cose registrate e poi alla fine non utilizzate, insomma... Per esempio bisogna trovare la melodia adatta, giocarsela con lo strumento più adatto che suona in un certo modo... Magari questo dipende alle volte dalla sola melodia, ma altre volte anche dal modo in cui la si registra, con quale strumento e come essa poi viene trattata, o no, dal computer. Quindi, per arrivare a qualcosa che si ha in testa possono esistere migliaia di modi soddisfacenti e occore fare veramente un sacco di tentativi prima di arrivare a ciò che esattamente si vuole. E poi, ci sono i dettagli, che mi prendono tantissimo tempo. Cerco sempre di animare i brani con dei piccoli movimenti stereo, tracce che scompaiono o rallentano, cose del genere. Uso parecchi effetti leggeri e discreti che danno vita alle canzoni, che non sono nemmeno percepiti dalla maggior parte delle persone. Ma se si ascolta attentamente e con una cuffia, penso sia abbastanza alla portata capire il gioco di tracce che è nascosto sotto il pezzo.

3- Facciamo come la pubblicità dell'ultimo Daft Punk: per registrare Ask For Tiger sono stati utilizzati i seguenti strumenti:

Allora, lavoro su Pro Tools con un I Book G3 e MBox. Si tratta del mio studio portatile con il quale faccio assolutamente tutto. Collego il tutto ad un dittafono, vecchi microfoni, delle cassette audio, dei vecchi vinili, due synths yamaha: PSS270 e VSS200, una casio VL-Tone, una roland SH101, chitarre elettriche, strumenti prestati, trovati, un pò di trombe e tromboni, un pò di violoncello, voce, pedali, pianoforte, batteria, field recordings etc etc... Sono molto interessato ad ogni forma di tecnologia, sia moderna che antica; quindi, alle volte mi piace utilizzare ottimi microfoni e poi magari dei registratori a cassetta putrefatti, e fare degli avanti indietro tra Low tech e Hi Tech per mescolare le tracce ed ottenere una musica vagamente atemporale, non necessariamente antica, ma che faccia dubitare un pochino della sua data di nascita...

4- Uno degli aspetti più stupefacenti di Ask For Tiger è la cura per gli arrangiamenti. Puoi descrivere come una canzone del tuo repertorio prende forma?

Non c'è una ricetta... alle volte è come un'evidenza ed il brano è scritto istantaneamente e gli arrangiamenti sono immediati. Altre volte invece, è un vero e proprio esercizio di scrittura, che può essere molto molto lungo. Certe canzoni hanno impiegato 3 anni ad uscire fuori.

5- Stessa domanda per le parti un pò più noise del disco... Si ha sempre l'impressione che anche i passagi più caotici abbiano una struttura estremamente calibrata e raramente fortuita... Penso ad episodi come Hugs And Kisses e Turquoise/Trotzdem o Nyeps Club.

Ho voluto integrare nel disco elementi un pò meno "evidenti" e/o "carini". Dei passaggi alle volte molto violenti o intensi ma mai gratuiti. Bisogna sempre trovare non solo l'esatto momento, ma anche il giusto grado di chaos per questo genere di passaggi. I brani che hai citato, sono stati "scritti" altrettanto quanto i brani pop, ma il "sound design" è durato ben due anni, nei quali, lavorando su altri brani, ho raccolto tantissimi micro suoni che ho potuto poi reincollare.

6- Un mio amico, ascoltando Ask For Tiger, ha definito Captain Forest's Word Of Advice la perfetta sintesi del pop in 3 minuti (E sono abbastanza d'accordo). Come reagisci a questa affermazione?

Sono completamente d'accordo... in 2'55 per l'esattezza! Ah ah, no, sul serio, non lo so... Questa canzone mi piace molto e la trovo abbastanza divertente, ed ha il merito di essere corta. Ed è la prima volta che scrivo un passaggio così prog rock con la tromba!

7- Quali sono al momento i tuoi ascolti?

the kinks "arthur"
the residents "third reich n roll"
arm of roger "the ham and its lilly"
Motards En Colère "demo"
morton feldman "crippled symetry"
this heat "this heat"
mr oizo "moustache"
broadcast "tender buttons"
the beatles "please please me"
nathan michel "the beast"
joe meek "i hear a new world"
arto lindsay "the subtle body"

8- Puoi parlarci della tua label, Active Suspension?

Active Suspension è una label creata da JC Baroche nel 1997. Nei primi tempi è partita con dei 45 giri e adesso anche dei veri e propri album. Active Suspension è una piccola label molto esigente, cosa che limita un pò la quantità di dischi che pubblica. La label raggruppa in un ambiente molto amichevole delle persone molto vicine tra loro, umanamente e musicalmente, anche se i generi musicali possono essere molto diversi.Per la Active Suspension è molto difficile distribuire i propri dischi, ma è un problema interessante...

9- Possiamo coltivare la speranza di vederti suonare a Roma, o almeno in Italia?

Eh, mi piacerebbe molto... Invitatemi!!!

10- Per chiudere: Ask For Tiger è a mio parere uno dei migliori dischi del 2005, trovandolo un lavoro maturo e poetico, ma anche vagamente ermetico, il che potrebbe essere anche la sua forza. Quali sono i tuoi programmi per il futuro? Hai già registrato qualcosa o cos'altro?

Grazie! Ho effettivamente cercato di raccogliere cose un pò differenti tra loro cercando di farle coesistere in modo intelligente. Per il momento non registro pezzi nuovi a nome Domotic, perché mi sono un pò rotto di lavorare da solo. Quindi, al momento, collaboro con Miguel degli Audiopixel, con il quale in realtà faccio musica già da parecchio tempo. Questa volta qui, però, lavoriamo seriamente su un album... e non so ancora esattamente a cosa potrà somigliare...

venerdì, febbraio 10, 2006

Liars, It Fit When I Was A Kid Ep, Mute 2005


In colpevole ritardo, qualche parola sul nuovo EP dei Liars, It Fit When I Was A Kid, anticipazione dell'imminente terzo episodio discografico del trio americano.

Il ritardo è palese, prova ne sia il fatto che mentre scrivo non solo è già in circolazione un secondo EP, The Other Side Of Mt Heart Attack (copertina in stile black metal, date un'occhiata al sito!) ma alcune riviste italiane, tra le quali Blow Up, hanno già recensito il nuovissimo Lp Drum's Not Dead.

Chiedo scusa cospargendomi il capo di cenere.

Tralasciando ogni superfluo commento sulla geniale copertina uncensored che accompagna questo EP, ci troviamo di fronte ad un lavoro di quattro tracce piuttosto rappresentativo dell'aria che tira in casa Liars.
Per chi ultimamente ha visto i Liars dal vivo, (per quanto mi riguarda, Circolo degli Artisti e Arezzo Wave) il brano di apertura che da il titolo a questo quattro tracce, non sarà una novità.
It Fit When I Was A Kid segna ed anticipa un cambiamento strutturalmente legato al passato del colossale They Were Wrong...
Le percussioni sono sempre presenti, svolgendosi nell'arco del brano con un'insolita 'pulizia' del suono delle pelli, ma martellanti e profonde, accompagnate da un basso (!) pulsante. La litania salmodiata dal buon Angus è come al solito magnetica, ma rispetto al recente passato meno acida e più riflessiva, sostenuta dal solo rintocco di un cristallo (crystals flying everywhere). E la sorpresa arriva verso il secondo minuto, quando un organo dimesso e malandato segna l'inizio della seconda fase della canzone, che assume le dimensioni di una sorta di requiem lontano e triste, con la sovrapposizione delle percussioni.
The Frozen Glacier Of Mastadon sembra quasi un brano rimasto fuori dal precedente lavoro. Gran lavoro sui suoni di chitarra, o forse sarebbe più corretto dire sull'effettistica, voce schizzata e filtrata, batteria impazzita, irregolare e frammentata.
Bingo! Count Draculuck, è il jolly dell'Ep: Lunga intro di risonanze e feedbacks, voce da psicofarmaci assunti in quantità industriali e delirante dialogo ritmico tra la batteria e armonici di chitarra devastati da manipolazioni.
In chiusura, remix, anche nel titolo -It Fit When I was A Kid, Don't Techno For An Answer- divertente e 'ballabile' della title track.

A questo punto, resta il giudizio ultra positivo su questo Ep (scaricatelo, compratelo, anche in vinile edizione limitata) come antipasto sul magnifico Drum's Not Dead, la cui recensione estesa (con annessa, forse, sorpresina, ma non mi sbottono...) dovrebbe apparire al più presto su questi schermi...!

lunedì, febbraio 06, 2006

Modulation One, Interview # 1 - Julie's Haircut -


Come inaugurazione di questo spazio dedicato alle interviste, non posso far altro che saltellare di gioia nell'avere come ospite Luca dei Julie's Haircut, che con molta pazienza ha trovato il tempo per rispondere ad un cabaret di domande sulla nuova uscita che li vede protagonisti: After Dark, My Sweet, (Homesleep 2006, in uscita oggi 6 Febbraio 2006), registrato in pochi giorni di improvvisazione all' Alpha Dept. di Bologna, co prodotto da Francesco Donadello. After Dark... è un disco che amo in modo particolare e spero sarà accolto da chi ne scriverà per professione salariata con lo stesso entusiasmo con il quale io ho letteralmente consumato le tracce del disco.

Intanto, però, vi consiglio di fare un giro da queste parti per leggere un resoconto (leggasi altrimenti recensione) del disco in questione.

Intanto, chiedo scusa per la forma o la struttura dell'intervista. E' la mia prima volta, mi sento un pò come la protagonista del tempo delle mele.

Ciao Luca, grazie innanzitutto per l'intervista. Come si è palesata inizialmente l'idea dalla quale è nato After Dark, My Sweet?

In realtà non abbiamo fatto molti piani e questo credo (e spero) che si senta nel disco. Tutto è iniziato quando abbiamo chiesto ad Andrea Scarfone (che noi chiamiamo Scarfo. Lui si firma Skarfo e mia madre, che ha sempre le idee molto chiare, lo chiama Scalfaro) di portare la chitarra e il suo ricco parco effetti in studio a Bologna per registrare delle improvvisazioni con noi per tre giorni. La cosa ci è piaciuta tanto che abbiamo preso Scarfo nel gruppo in pianta stabile e in un altro paio di session abbiamo messo insieme un album.

Una volta compreso il percorso intrapreso, così radicalmente diverso > dal vostro passato, come avete formalizzato le prime scelte > riguardanti il materiale che è finito nell'album?

Non ci siamo posti molti problemi, noi avevamo voglia di approfondire certi aspetti della nostra musica e lo abbiamo fatto. Abbiamo registrato molto materiale in presa diretta e poi abbiamo scelto le cose che per noi erano assemblabili come album.

Ritengo il vostro disco estremamente coraggioso per una serie di aspetti: il fatto di aver rinunciato ad una forma canzone "tascabile" e di più facile impatto, uscire per un'etichetta come Homesleep che, raramente, si è trovata tra le mani un album così poco allineato al proprio stile e, magari, anche la coscienza di perdere qualche vecchio fan... Cosa vi ha spinto ad un taglio così definitivo con i vostri trascorsi?

L'unica cosa che ci ha convinto è stata la voglia di farlo. C'è solo una cosa peggiore di un brutto disco: un disco disonesto. Questo era il disco che i Julies volevano fare in questo momento. Bisogna invece fare i complimenti (e noi li ringraziamo) ad Homesleep per averci creduto ed essersi appassionati alla cosa. Credo che abbiano avuto più coraggio loro di noi.

Torniamo al disco; come è avvenuta la scelta di avvalersi di Francesco -aka Burro aka GdM (già vostro fonico live da qualche anno, se non sbaglio) in fase di registrazione? E ancora, quanto il vostro materiale ha pesato sulla scelta di Francesco e quanto egli stesso ha contribuito allo sviluppo delle sessions in studio?

Devo dire che la scelta dello studio e la scelta di lavorare con Francesco sono strettamente correlate. Quando hai fatto tanti dischi in uno stesso studio (come noi abbiamo fatto finora tra Bunker ed Esagono) cominci a soffrire di una sorta di sindrome claustrofobica ogni volta che ci metti piede, perché rievoca ore e ore di duro lavoro, per quanto piacevoli. Cambiare aria dopo tanti anni ha contribuito a liberarci mentalmente per il tipo di lavoro che volevamo affrontare. Ora però abbiamo assunto metodi produttivi molto differenti dal passato, lavorando molto in presa diretta e puntando sull'emotività piuttosto che sull'arrangiamento perfetto nel punto perfetto. Per questo ora a me piacerebbe cambiare spesso, magari tornare a Rubiera o da qualche altra parte per poi tornare all'Alpha. Questo metodo rende il lavoro di studio molto più leggero e non preclude la sperimentazione. Da questo punto di vista Francesco ha avuto il merito di essere riuscito a catturare benissimo il feeling momentaneo delle esecuzioni senza rinunciare all'utilizzo di aggiunte produttive a livello di effetti, metodi di ripresa e di mixaggio, che in un certo senso in un disco così improntato sul suono hanno un ruolo pari a quello degli strumenti tradizionali.

Quanto è stata importante la scelta della strumentazione nella > preparazione e registrazione dell'album?

Ovviamente molto.

In rapporto ai nuovi pezzi, quanto è cambiato il vostro approccio al live? Quali sono state le reazioni del vostro pubblico?

Abbiamo fatto ancora pochi concerti con questo set e il tour vero e proprio inizierà la settimana prossima, però posso già dirti che noi ci divertiamo molto e il pubblico ha finora reagito bene. E' un disco che vive la sua vita naturale nel momento del live. E' molto più emozionante per noi riuscire a fare una cosa non solo per il pubblico ma con il pubblico. Il set che abbiamo ora permette ampissimi spazi di improvvisazione e questo rende ogni serata diversa dalle altre. Mi piace questa idea che chi viene a un concerto sa di partecipare a qualcosa che in quel modo lì sta accadendo solo in quel posto e in quel momento precisi, qualcosa che è irripetibile, spontaneo e vero.

Quali sono i tuoi ascolti al momento?

Mi piacciono molte cose diverse. Ora saltello tra LCD Soundsystem, Thelonious Monk, Uri Caine, alcune nuove ottime raccolte di funk. Per chi fosse interessato al genere segnalo le pubblicazioni della Jazzman (www.jazzmanrecords.co.uk). Ho sentito in colpevole ritardo, per caso, "Il suonatore Jones" dal disco di Morgan che interpreta De Andrè: sono rimasto a bocca aperta, splendido arrangiamento, grandissima versione. E te lo dice uno che non ha mai avuto particolare simpatia per Morgan.

Tornando ad After Dark..., sul piano dei testi ho notato una cospicua riduzione non solo delle parti cantate, ma soprattutto del testo in generale. Questo, a mio avviso, non fa che elevare ancora di più i pezzi, cessando di elevare la voce a biglietto da visita per un gruppo ed innalzandola al rango di strumento. Penso in particolare a Purple Jewel o l'ossessivo incipit di Open Wound. Come e in quali modalità è avvenuto questo processo di cesellamento?

Nel caso di Purple Jewel è come se io e Laura insieme stessimo in realtà suonando uno strumento, che è lo Space Echo. Mi spiego: durante il pezzo Laura canta il suo testo (che non so assolutamente da dove salti fuori, sicuramente non aveva nulla di scritto quando l'abbiamo fatta) in un microfono che io processo attraverso lo Space Echo. Per quanto riguarda Open Wound invece volevamo un coro e abbiamo buttato giù una riga essenziale che servisse allo scopo.

Restando sui testi, un amico mi suggerisce di porti questa domanda: da dove vengono i titoli? Esiste forse una certa tensione cinematografica che attraversa i titoli dell'album?

In alcuni casi sì, è esplicita, in altri no.

Credi che questo disco sia solo una parentesi del vostro percorso, o pensate di continuare ad approfondire questa o altre direzioni sempre così distanti dal vostro recente passato?

Per noi l'importante è avere stabilito un nuovo approccio compositivo, un modo nuovo di intendere la nostra musica. I risultati stilistici che scaturiranno da questo non posso prevederli.

Ma Sonic Boom è quello del videogioco?

No, quello è Mr. Bomb... ma forse non ci riferiamo allo stesso videogioco. Vedi? Il gap generazionale?

A parte le battute, come è nata la collaborazione con lui?

Tempo fa ha ascoltato le nostre versioni di "Hey Man" e "Walkin with Jesus" e gli erano piaciute molto, quindi gli abbiamo chiesto se gli sarebbe piaciuto fare un paio di giorni in studio con noi, gli abbiamo mandato qualche demo e lui ha accettato.

Quando inizia il tour e quando durerà?

Partiamo l'11 febbraio dal Covo e poi via finché c'è gente che ha voglia di ascoltarci e noi abbiamo energie.


Dopo aver potuto apprezzare la performance dei Julie's al Qube di Roma, allora, appuntamento per la festa di presentazione al Covo, 11 Febbraio!

Evviva!!!

venerdì, febbraio 03, 2006

GRAVENHURST, Fires In Distant Buildings, Warp 2005





I Gravehurst sono arrivati in punta di piedi, a Bologna, (anzi, Castel Maggiore) una sera avvinazzata con lui e lui.
Mtv accesa, discussioni inutili.
Arriva un video che sembra un test di Rorschach.
Il primo dei 'lui' di cui sopra blatera qualcosa di fonicamente incomprensibile (sappiate che una volta bercio, il mio amico parla come Zak di scuola di polizia. O come una delle due Coco Rosie).

Gravenhurst, Fires In Distant Buildings è un disco magnifico, che si fa strada lentamente fino ad arrivare nervi scoperti attraverso 8 capitoli.
Il Clip di Velvet Cell è sintomatico dell'intera estetica del disco. Il disco stesso è un test di Rorschach, assumendone i pieno caratteristiche, contraddizioni e conseguenze.
Gelido, abissale, intimo, caldo, confortevole e scomodo, lungo, ampio, respiro, introspettivo, da camera, fotografico, desolato, alienante, semplice. complesso, diverso, poliedrico, cambiaforma, unico e polisemico.
Mai sentito parlare di Coincidentia Oppositorum? Se mai fosse possibile, si potrebbe parlare di un disco Junghiano (vabbè, questa è licenza poetica...)

Down River è la prima traccia, eccellente e semplice ouverture. Apertura coraggiosa del disco, sette minuti e quattordici secondi per far attraversare la soglia.
Velvet Cell è il singolo, progressione semplice e dritta, arrangiamento limpido e perfetto per un pezzo che fa dell'idea di "ripetizione" (come del resto, tutto il disco) la propria spinta per essere a tutti gli effetti un pezzo da brividini lungo la schiena.
Animals è una ballata lenta e dolorosa, così come Nicole, tra i migliori episodi del disco.
Si arriva dunque alla Velvet Cell Reprise, come vuole il titolo stesso, riproposizione strumentale del singolo, densa di "eventi" o "accidenti" sonori agghiaccianti, e lavorati - nel senso dell'effettistica e del missaggio- con una discrezione e maestria che è molto difficile trovare in giro.
Cities Beneath The Sea continua il discorso di Animals e Nicole, avvalendosi inoltre di uno splendido finale strumentale.
Il vero capolavoro di Fires In Distant Buildings risiede però nella penultima traccia, Song From Under The Arches, suite di 10.21.
Lenta, inesorabile così come le onde di puro terrore che invadono l'acqua vagamente increspata della canzone. Dieci minuti di claustrofobia e buio vero per aprirsi al più ampio respiro di See My Friends, desert song psichedelicamente retrò.

Per quanto riguarda la produzione, ci troviamo davanti ad un lavoro che, per le proprie esigenze, ha trovato la resa sonora migliore, che sposa appieno gli aggettivi spesi poche linee più sopra descrivendo l'archetipicità del disco. Nel dettaglio, e senza troppe elucubrazioni, la produzione del disco è stata sospinta verso un'estrema semplicità priva di svolazzi inutili o decori pruriginosi.
Asciutti ed eleganti, i suoni dei 3 strumenti -chitarra basso batteria- (eccezion fatta per qualche discreta irruzione di tastiera) descrivono pienamente l'atmosfera del disco senza aver bisogno di suppellettili.


Di norma, per il bisogno di approssimazione, si cerca di trovare verosimiglianze tra il gruppo di cui si parla ed altre bands, in termini di influenze. Ovviamente il discorso potrebbe valere anche per i Gravenhurst. Anzi, vale sicuramente per loro. E sono loro stessi a rivelare le loro maggiori influenze. Quindi mi sento giustificato nel saltare questa odiosa e avolte necessaria convenzione.
Anzi no. Ne propongo una. Ma non crocifiggetemi.
Non ho mai sentito un gruppo, generalmente etichettato come "indie" essere così simile ai Tool. Chiaramente non parlo di genere, o suoni o difficoltà d'esecuzione dei brani, ma punto a qualcosa di più sottile, che risiede nella struttura dei pezzi, nell'incedere, nel rigore di queste composizioni, nel gelo e nel calore che anche (e forse solo) i Tool sanno emanare.
D'altronde, fatevi un giro sul sito dei Gravenhurstn e poi su quello dei Tool. Sono molto simili, avendo la medesima impostazione "esoterica" (e che Antoine Faivre mi perdoni), stessa mania della cripticità.
E poi, fatemi un piacere; se già non l'avete, scaricate Schism (la canzone) dei Tool e sentitela subito di seguito a Songs From Under The Arches dei Gravenhurst.
Tanto per farmi sapere se ho preso un granchio.